Recentemente si è tornati a parlare di burnout poiché l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha inserito il burnout nell’elenco dei disturbi medici (ICD-11) utilizzato dai Professionisti per diagnosticare malattie, definendola come una sindrome legata alla professione.
Quando, nel 1974, lo psicologo Herbert Freudenberger introdusse il concetto di burnout, associava questa sindrome alle cosiddette “helping profession”, professioni di aiuto come quelle di infermieri e medici. Oggi, tuttavia, risulta evidente che riguardi tutti coloro che lavorando entrano in contatto con persone che vivono stati di disagio o sofferenza.
Come si manifesta?
Il burnout si manifesta solitamente attraverso quattro fasi:
1 – iniziale entusiasmo idealistico verso l’impegno nel sociale, con prospettive personali di successo e gratificazione;
2 – stagnazione nello svolgimento dei propri compiti lavorativi con cessazione di entusiasmo e gratificazione attesa;
3 – frustrazione nei confronti del lavoro verso il quale cresce senso di inutilità personale, progressivo scarico di responsabilità e aumento conflittualità con i colleghi;
4 – apatia e mancanza di motivazione professionale.
I fattori che causano la sindrome da burnout sono legati al modo strettamente personale di vivere alcune caratteristiche del proprio contesto lavorativo.
Possono trasformarsi in fattori di rischio:
Va a colpire il senso di efficacia e autostima del lavoratore, con conseguenti ripercussioni anche sulle sue performance lavorative.
Hanno conseguenze dirette sul tono dell’umore del lavoratore che potrà rispondere con assenteismo.
Possono far vivere al lavoratore un senso di scarsa stabilità personale e causare nervosismo, disturbi d’ansia e depressione.
Quali conseguenze?
La sindrome da burnout ha ripercussioni sul piano individuale e organizzativo.
Sul piano individuale: ripercussioni a livello fisico (somatizzazioni), emotivo (ansia, depressione, impotenza), cognitivo (difficoltà di concentrazione, “stanchezza mentale”) e relazionale (dall’ isolamento a comportamenti aggressivi in base alle caratteristiche individuali).
Sul piano organizzativo: si può osservare un aumento significativo di assenteismo e turnover.
Cosa può fare il datore di lavoro?
Secondo quanto previsto dal D.Lgs. 81/2008 il datore di lavoro ha il compito di stabilire misure adeguate per ridurre e prevenire lo stress, per farlo può agire su due fronti:
Formazione:
offrire percorsi formativi ai dipendenti, per fare chiarezza sulle possibili fonti di stress associate allo specifico contesto lavorativo, per rendere il dipendente in grado di riconoscere i segnali di stress e apprendere, quindi, strategie per la gestione dello stesso.
Gestione e comunicazione:
garantire ai dipendenti ascolto e promuovere il coinvolgimento degli stessi in alcuni processi decisionali e gestionali.
Cosa posso fare per evitare il burnout?
E’ utile individuare, tra le varie attività del nostro lavoro, quelle che troviamo più coinvolgenti e ci piacciono di più, in modo da organizzare, per quanto possibile, la nostra giornata lavorativa, alternando attività più piacevoli a quelle che invece troviamo più “pesanti”.
Riuscire a vivere in modo sereno il contesto lavorativo è essenziale: si può tentare di creare relazioni positive con i nostri colleghi, cercando di utilizzare una modalità assertiva di comunicazione e un pizzico di ironia per sdrammatizzare eventuali situazioni difficili.
A cura della Dott.ssa Giulia Cappa.
Psicologa
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